attilio-renzulli_400Sollevato dall’incarico e non certo per giusta causa. La storia di Attilio Renzulli, direttore dell’Unità operativa di Cardiochirurgia del policlinico universitario di Germaneto, è quella di un luminare scacciato con una manovra aziendale che, egli stesso definisce, «in pieno stile medioevale». Lo incontriamo nel suo ufficio. In fondo allo Stivale, Renzulli ci arriva agli inizi del 2000. Carico di speranza e con un know now da far invidia ai medici d’oltreoceano. Oggi, però, il professionista augura ai figli di trovare lavoro all’estero. Qualcosa, in questa terra bella e dannata, non funziona.

Chi è Attilio Renzulli?
«Attilio Renzulli è nato a Napoli, dove ha studiato e si è laureato. A 25 anni ha iniziato a lavorare nel più grosso centro cardiochirurgico: il Monaldi. Era il 1981. Arrivano emergenze da tutte le    parti.
Specialmente dalla Calabria. Ho sempre frequentato questa regione come luogo di villeggiatura e come casa di diversi amici che mi onoravano con la loro ospitalità.
Nell”86 ebbi un posto di assistente presso il dipartimento cardiotoracico di New Castle, in Inghilterra. Qui ci resto per due anni e mezzo. Per perfezionare le mie tecniche. Torno a Napoli e metto su un servizio di chirurgia antiaritmica. Il centro diventa il primo del sud ad impiantare un defibrillatore automatico, tanto che mi invitano, a Reggio Calabria, a creare nel 1992 una sezione di cardiochirurgia».
È a questo punto che arriva in Calabria?

«No. Per interessi locali, nonostante la regione lo avesse previsto, non fu mai istituito. Siamo nel 1996 e ricevo l’incarico di primario nel Katar sul Golfo Persico. Ci resto per due anni. Torno al Monaldi nel ’98 dove lavoro come chirurgo indipendente facendo interventi di complessità, iniziando dalla chirurgia a cuore battente e conducendo un’attività di ricerca. Nel frattempo conseguo due specializzazioni più un dottorato di ricerca. Siamo agli inizi del nuovo millennio e si prospetta la situazione di Catanzaro perchè l’Università Magna Graecia aveva, ormai da un decennio, un’unita operativa di cardiochirurgia diretta dalla professoressa Antonietta Marchese e poi da Elvio Covino. L’unità non presenta risultati né quantitativamente ne qualitativamente soddisfacenti con un’alta emigrazione sanitaria per patologie acute e croniche di interesse cardiochirurgico. Viene bandito il concorso su base nazionale e si dà l’ idoneità a due persone. Vincemmo sia io che Gargiulo, famoso cardiochirurgo pediatra nato a Siderno. Un quarto d’ora dopo l’ esame il collega mi dice «Mene torno a Bologna. Buona fortuna»

Lei invece decide di restare in Calabria?»
La mia esigenza di avere la chance di guidare un centro cardiochirurgico in crescita, in una regione dove non c’era niente, suscitò la sfida di venire in Calabria e di trasferire qui tutta la mia famiglia».

I suoi figli sono nati in Calabria?
«Ho due figli. All’epoca erano piccolissimi. Sono due gemelli. E di fatto sono calabresi. Ci siamo stabiliti a Lido».


Inizia qui il suo percorso?
«A Catanzaro trovo un centro sprovvisto delle più elementari attrezzature per un’ attività cardiochirurgica ordinaria. Non esistono alte professionalità necessarie in cardiochirurgia. Non esistono infermieri strumentisti. Non esiste una terapia intensiva cardiochirurgica, come in tutti i centri italiani. Ciò nonostante ci muriamo vivi nell’allora Mater Domini e dopo a Germaneto: effettuiamo 260 interventi all’anno solo di cardiochirurgia. Finita la luna di miele iniziano le azioni di ostilità. Ostilità del territorio, perchè esiste una struttura privata che effettua cardiochirurgia. Mai problemi di competizione con il privato non sono quelli principali. Gli ostacoli provengono dall’interno stesso dell’università dove ci sono alcuni invidiosi che non hanno mai messo piede in sala operatoria e a cui da fastidio un’attività eccellente. O qualche altro barone che conquista una quantità di spazi e personale inaccettabilie. Eppure, ancora oggi, continua a succhiare le risposte dell’ ospedale attraverso ricatti politici e accademici. Sono stato costretto ad effettuare l’emergenza regionale senza avere nemmeno a disposizione il personale strettamente indispensabile per questa attività. E senza avere gli spazi per accettare un’emergenza, visto che il malato emergente dovrebbe essere ricoverato subito in una terapia intensiva dedicata. Cosa che io non avevo. E quindi il malato viene messo a fianco a pazienti che hanno infezioni temibili successivi a interventi. Quando è disponibile il posto letto, il paziente viene messo in una condizione ambientale non certo ideale per questo tipo di chirurgia. Ciò nonostante abbiamo effettuato piu di 2500 interventi in dieci anni facendo interventi di alta specializzazione multipli e in collaborazione con altre specialità. Nonostante le resistenze dell’amministrazione sono stati operati cinque pazienti a cui è stato impiantato un ventriloquo artificiale. Quattro di essi vivono un’esistenza normale in un periodo variabile da uno a quattro anni di distanza dall’intervento. La nostra attività di ricerca è stata eccellente. Abbiamo pubblicato sulle migliori riviste della specialità in numero e qualità soddisfacenti. Siamo stati coinvolti in studi clinici proposti dall’associazione americana Fda per la validazione di alcuni presidi cardiochirurgici. I medici specializzati nella nostra comunità operativa hanno avuto un alto status di traning al punto che molti di essi hanno trovato posto in strutture pubbliche del nord Italia. Ciò nonostante la collaborazione delle istituzioni è sempre stata scadente se non inesistente. Ed è stata mirante a potenziare qualche unità operativa che già possedeva tanto e che continuava a divorare le risorse già poche della nostra azienda. A questo punto, a gennaio, si sono avuti tre decessi di pazienti con infezioni acute: degenti in terapia intensiva. E, quindi, chiedo il colloquio con le istituzioni e propongo piani di intervento che costano poche centinaia di euro. In questo modo avremmo potuto far risparmiare alla nostra Regione milioni di Drg pagati alle Regioni del nord per l’emigrazione sanitaria. Tutte queste cose non sono state recepite né mai discusse. Anzi si è parlato, insistentemente, del trasferimento di questo centro nella città di Reggio, scorporandolo dalla Università: sua sede naturale. Questo nel tentativo paradosso di chiudere la sede pubblica lasciando quella privata, cosa mai accaduta in un Paese europeo».


Cosa fa Lei questo punto?
«A questo punto formulo una lettera-esposto indirizzata ai dirigenti dell’ azienda e alla Procura della Repubblica nella quale chiedo interventi urgenti. E di tutta risposta, durante un periodo di malattia, l’Azienda conclude, improvvisamente e senza notifica alcuna, che non avessi completato le visite dal medico competente per cui vengo considerato inidoneo. E in tre giorni l’Azienda, l’Università e la scuola di medicina, con tre delibere immediate, mi rimuovono dall’incaricò».


E Lei cosa fa?
«Mi presento dal medico competente chiedendo di essere visitato e giudicato. Il medico, dopo aver visto gli esami e aver detto che tutto andava bene, dopo quindici giorni, mi fa sapere che non poteva prendere una decisione. Mi rimanda alla commissione medica. A questo punto avvio le mie iniziative legali: al tribunale del lavoro, al Tar e a breve presenterò un ulteriore esposto alla Procura in modo che indaghi sull’abuso di ufficio, sulle omissioni e su tutto quanto accaduto in questi dieci anni» .


Adesso cosa fa?
«Il mio stipendio è decurtato del cinquanta per cento da circa cinque mesi».


E l’attività è ferma?
« L’attività prosegue solo grazie ad un supporto artificiale interno, ma non esistono più le file di malati provenienti da province o regioni limitrofe. In più la qualità degli interventi effettuati è appena sufficiente».


Perché, secondo Lei, è accaduto tutto questo?
»E molto più facile stare senza fare niente e sedimentare rivolte che stare in sala operatoria e guarire i pazienti. Ci sono stati periodi in cui non avevo infermieri costretti a doppi turni, dannosi per la loro salute e per quella dei pazienti. Con la scusa del piano di rientro abbiamo dimenticato i canoni delle etica medica. Siamo pronti a fare qualsiasi cosa in nome del Dio denaro».


Mi pare di capire che la sua battagliaproseguirà?
«Certo» .


Se potesse tornare indietro sceglierebbe di lavorare in Calabria? Cosa si augura per i suoi figli?
»Da quest’anno le università saranno a concorso nazionale. L’anno scorso era ristretto a Calabria e Sicilia: il venti per cento degli studenti entrati a medicina sono del Catanzarese, venti dalle altre province e il resto extra regione. Quest’anno su base nazionale, nonostante i voti della maturità calabrese siano alti, si prevede una riduzione della quota dei calabresi. Se da un lato questo può rappresentare un fatto negativo, dall’altro sarà positivo: perché le nostre strutture saranno inserite in un circuito di competizione nazionale. Per cui è possibile che il genitore, che va nella scuola del figlio, protesti per il fatto che i figli non siano stati preparati a sufficienza. Sulla base della mia esperienza posso dire di avere avuto una fortuna: aver conosciuto in questa terra persone di una intelligenza superiore alla media con le quali si sarebbero potuti fare progetti degni della massima attenzione. Ma poi le prevaricazione di altri soggetti, il malcostume, l’incuria, l’indifferenza la malafede e, addirittura, il piacere di sparare sulle proprie strutture fanno sì che io oggi mi penta di quello che ho fatto e che non consideri per i miei figli un futuro degno nella nostra regione. Dove esistono funzionari dello Stato o degli enti pubblici che hanno solo il compito di controllare le virgole sui documenti e non prendono nessuna azione nei confronti di coloro che sono i più deboli: gli studenti e i pazienti. Fondamentalmente dimenticano il loro compito istituzionale». (Il Quotidiano della Calabria – A.bu.)

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