Quella che segue è l’intervista a Don Giacomo Panizza, prete antimafia di Lamezia Terme e fondatore della comunità “Progetto sud”. Tale comunità autogestita insieme a persone con disabilità, contribuisce a diverse iniziative della Caritas italiana e dalla Calabria. Don Giacomo Panizza è nel mirino delle cosche mafiose dal 2002, quando spezzò il cerchio della paura prendendo in gestione il palazzo confiscato ad una di queste. Lo stabile dista pochi km dalla famiglia in cui abitano i mafiosi. Da allora è sottoposto ad un programma di protezione. L’intervista è stata realizzata il 23 maggio, anniversario della Strage di Capaci, in occasione della manifestazione “Per non dimenticare” organizzata dall’associazione “Non Mimosa ma girasole” di Martirano Lombardo. Ringrazio Don Giacomo Panizza per la sua grande umiltà e disponibilità nel farsi intervistare.
Peps Aiello
(P.A) 23 Maggio 1992: Strage di Capaci. 23 Maggio 2014 Capaci di ricordare anche a Martirano Lombardo. Quali sono i suoi pareri su questo evento che si è appena concluso ?
Mi è molto piaciuto questo evento, ho visto che i bambini non sono stati catapultati in questo incontro ma io parlando loro di singoli episodi e di singoli concetti capivo che seguivano, non solo per la capacità di attenzione ma seguivano perché gli insegnanti avevano già dato loro una cornice delle cose. Quando parlo con qualcuno mi rendo conto immediatamente se mi comprende e stamattina era un esempio di questi perciò quelle scuole che stanno aiutando questi piccoli, stanno lavorando bene. Di sicuro, vuol dire che anche il resto delle istituzioni, le famiglie e il resto della società non deve fare il contrario di quello che imparano a fare a scuola.
(P.A.) Don Giacomo Panizza, uomo del nord bresciano ma che del Sud ne ha fatto un vero e proprio progetto. Un sud dove lei ha conosciuto, come gli stessi Falcone e Borsellino, inferno, purgatorio e paradiso. Qual’è il tratto caratteristico del Sud che più le piace?
A me piace di più il paradiso e quando dico che in Calabria c’è il paradiso non intendo quella pubblicità dove si beve il caffè sulle nuvole ma intendo quel sudore, quell’impegno, quella fatica di volersi bene specialmente quando manca il lavoro e mancano tante opportunità. Volersi bene quando c’è la mafia di casa e non come li al nord, dove invece la mafia, pur non stando pesantemente sul collo come avviene qui, è arrivata da diverso tempo. Vedo quindi le persone che resistono a queste cose già in paradiso perché il paradiso c’è dove c’è amore e l’attenzione agli altri, dove c’è lo spendere la vita per la libertà, per la giustizia, per un sogno e per le persone. Io in Calabria questo lo vedo e lo chiamo Paradiso, un paradiso che va sostenuto ed allargato.
(P.A.) Si è soliti pensare che al nord, terra da dove viene, ci sia un incapacità nel concepire il fenomeno mafioso mentre al sud vi è l’incapacità di interpretare e contrastare tale fenomeno. Questo dipende dalla poca presenza dello Stato sul territorio?
In Calabria l’incapacità di interpretare e contrastare il fenomeno mafioso secondo me dipende da diversi fattori. Da una parte vi è la mancanza di tribunali con tutto l’organico, dall’altra il non avere per determinate occasioni chi può catturare i criminali e il non fare operazioni di intelligence che permettono la caccia non all’altro ma al mandante dell’altro. Queste cose mancano e vanno recuperate. Il fatto che però vi sia il fenomeno della ndrangheta non è solo un problema di alcune carenze dello Stato perché la fierezza di lavorare, di dire no a pagare il pizzo, di dire “io voglio intraprendere qualcosa nel territorio in cui vivo” è la stessa fierezza di dire io parto e vado da un’altra parte. Rimanere vuol dire che bisogna anche saper resistere, resistere non nel senso della resistenza a qualcuno ma diventare attivi. Io resisto se capisco che oggi devo resistere il doppio, non resistere ordinariamente. Oggi a mio avviso in Calabria la gente deve tirar fuori un esistenza più alta, meno distratta, deve essere più presente, è proprio in questo senso che io intendo resistenza. Il mio concetto di resistenza non deve essere inteso come il ribattere a qualcuno ma quello di ribattere a qualcuno perché noi abbiamo un progetto. Se io allora ho un progetto resisto anticipando cose che nella realtà in cui mi trovo non ci sono.
(P.A.) Crede che la crisi economica che stiamo vivendo e la conseguente mancanza di posti di lavoro sia un forte alleato del sistema mafioso?
E’ un alleato ma non forte, l’aspetto forte è la rassegnazione a non combattere. Rassegnazione a dire o a pensare che è sempre andato così quando invece non è vero, la rassegnazione a sentirsi poco uniti contro questi mentre invece bisogna costruire l’amicizia e l’alleanza. Se c’è stata uno storia in Calabria di individualismi familiari bisogna romperla. La Ndrangheta dinanzi alla povertà, alla disunione, alla cultura e alla rassegnazione ha molto gioco e in più usa come forza il fatto che lei c’è e ci fa paura ma non è tutta qui la vita della Calabria. La gente non può mettere tutto sotto la povertà, la rassegnazione, sotto una cultura di non alleanza e anche sotto un modo di vivere la vita non scommettendo per il futuro e per il presente. Noi siamo di più dei mafiosi, la paura non deve sottometterci. La povertà è una cosa ma la paura, la vigliaccheria o il tipico proverbio “Io tengo famiglia” non devono impedirci di essere liberi. La libertà di ogni individuo va insieme alla famiglia, va insieme alla ricerca del lavoro, la dignità umana va insieme al saper dire “Io il pizzo non lo pago!” Se la gente che non vuol pagare il pizzo si mette a chiedere aiuto allo Stato che nella maggior parte dei casi c’è al 70 invece che al 100%, l’altro 30% che manca deve costruirlo con tutta la popolazione. Quando lo Stato è distratto o poco presente bisogna, a mio avviso, portare la gente a dire no, non a tu per tu ma in vari dibattiti che possono essere organizzati dalla parrocchia, dal comune, dalle stesse associazioni affinché qualcuno dica “io voglio fare questo” stanando quelli che dicono no. E’ li che bisogna costruire alleanze insieme. Anche se a qualcuno non è stato chiesto il pizzo, bisogna comunque organizzare degli incontri per creare un gruppo unito, una sorta di antiracket oppure fare un iniziativa in cui facciamo vedere alla Mafia di essere tanti e non soli.
(P.A.) Borsellino disse: “Palermo non mi piace, il vero amore però consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”. Lei si rivede in questa frase? Quali sono state le sue impressioni appena arrivato a Lamezia?
Quando sono arrivato qui il mio compito era quello di aiutare le persone in carrozzina poi con il passare del tempo ho visto che sul territorio era presente la Mafia e ho incontrato persone con pareri diversi: da una parte trovavo quelli che mi dicevano che la mafia a Lamezia c’era e dall’altra quelli che dicevano che non c’era. Personalmente potrei voler bene a qualcuno come Dio lo ha pensato ma allo stesso tempo potrei non volergliene con la scusante “questo non capisce lo lascio perdere”. Aiutando personalmente gente in carrozzina che non sapeva ne leggere e ne scrivere e i tossico dipendenti che avevano persino rubato l’anello di matrimonio alla propria mamma, voglio bene a questi per come Dio li ha pensati e per come Dio li ha sognati. Come Dio ha voluto bene a me, come ne ha voluto a loro quando hanno fatto le stupidaggini, io voglio bene a questi anche se stanno facendo stupidaggini o hanno un po di paura o vigliaccheria o capiranno domani. In questo mi piace scommettere anche su di me, è una bella sfida volere bene a quelli che non ti vogliono bene. Bisogna saper amare i propri nemici proprio come ha detto Gesù. Quando ad esempio in questi anni ho saputo che uno di quelli che mi voleva uccidere era rimasto ucciso, ho provato un sentimento di liberazione ma è stato il pregare per lui che mi ha fatto stare meglio.
(P.A.) Falcone diceva che “Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere”. Lei il suo dovere lo sta facendo da diverso tempo a Lamezia con la comunità “Progetto Sud” di cui è fondatore e presidente. Che cos’è Progetto Sud?
La comunità progetto Sud è un gruppo di persone tutte differenti tanto che il nostro simbolo è un fiorellino con 5 petali tutti differenti perché siamo tutti diversi. La logica del dovere ho dovuto modificarla: ognuno deve fare il proprio dovere come è giusto che sia, ma INSIEME. E’ solo collaborando tutti insieme che si riesce a trovare un obiettivo, una metodologia per uscirne tutti a testa alta invece che rimanere malati, senza lavoro, senza famiglia. Ho avuto modo in questi anni di collaborare con gente che non sapeva nemmeno che cosa volesse dire la parola dovere perché pesavano di non saper fare niente, perché non sapevano leggere e scrivere e ho deciso quindi che ognuno doveva fare il proprio dovere insieme agli altri. Se quindi la Ndrangheta minaccia me gli altri mi aiutano, se c’è qualcuno in carrozzina un altro lo imbocca, se c’è qualcuno che ha perso il lavoro viene aiutato a cercarne un altro. Se ho davanti un tossicodipendente, io faccio il mio dovere e lo aiuto però lui deve fare il suo per essere aiutato in modo tale che la somma dei due doveri diventi la crescita di tutti e due. La Calabria così come l’intera umanità ha bisogno di gente che faccia il proprio dovere insieme agli altri. Molta gente che pensa di fare da se e pensa di fare per tre, deve capire che questo proverbio sta in piedi certe volte, altre volte invece è meglio fare il proprio dovere con gli altri per poter salvare un paese, una scuola, per salvare il mondo intero.
(P.A.) Ultima domanda: Falcone diceva: “Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è, allora, che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”. Qual’è il suo messaggio ai giovani oggi?
A me oggi piace discutere con i giovani, ho tante cose da dirgli e loro hanno tanti messaggi per me. Quando discutiamo, molto spesso mi capita di dirgli di partire da ciò che li tiene fermi. Si può anche viaggiare da fermi, si può girare il mondo stando in casa propria e pensare di essere sempre fermi. C’è tanta gente che rimane uguale viaggiando e c’è tanta gente che rimane uguale restando ferma. Bisogna invece partire col cuore, con l’intelligenza, con le scommesse, partire col mettersi alla prova. I giovani devono sperimentare tutto quello che desiderano sbattendoci il muso per regolarsi su quali aggiustamenti fare nella loro vita. Il mondo ultimamente sta andando troppo male, non può essere ri–fotocopiato, oggi bisogna trasgredire il male del mondo. I giovani devono cominciare a inventare nuovamente il bene perché è solo così che si troveranno bene, aiutare gli altri infatti fa crescere ognuno di noi rendendoci felici.
Fonte: http://peps93.wordpress.com/2014/05/26/9-intervista-a-don-giacomo-panizza/