Aldo Moro è stato uno dei protagonisti della vita politica italiana del secondo Novecento. La sua figura è però inevitabilmente schiacciata sulla vicenda del rapimento e dell’assassinio, la pagina più oscura della storia della Repubblica con l’attacco più alto condotto al cuore dello Stato.
A quasi quarant’anni dagli avvenimenti, processi e commissioni parlamentari d’inchiesta, ancora in corso, non hanno chiarito fino in fondo ruoli, fatti, responsabilità. Che dubito possano essere facilmente risolte, perché alle riflessioni storiche e scientifiche si sommano quelle politiche e ideologiche.
Sull’opera di Aldo Moro nella storia d’Italia, c’è ancora tanto da studiare e da capire: sull’apporto dato alla Costituente, sull’incidenza nella Democrazia Cristiana da Segretario e Presidente del Consiglio Nazionale, sull’uomo di Governo come ministro della Pubblica Istruzione, di Grazia e Giustizia e degli Esteri, da Presidente del Consiglio dei Ministri per cinque volte.
Di Aldo Moro tutti evidenziano il grande senso dello Stato, che si realizza principalmente attraverso la tutela della sicurezza. Sotto questo profilo è giunto il momento di cominciare ad indagare anche un aspetto, per il quale Moro ha svolto un ruolo molto importante: la sua attenzione ai Servizi e alle attività di intelligence.
E questo perché sono maturi i tempi per una duplice ragione: da un lato la figura di Moro non può rimanere ancora delimitata sulle vicende tragiche, e ancora nebulose, della sua morte; dall’altro l’intelligence è costantemente invocata per contrastare il terrorismo e la criminalità, essendo oggi considerata uno strumento decisivo per la sicurezza e il benessere dei cittadini.
Tanto che il nostro impegno è rivolto a farla diventare una materia da studiare stabilmente negli atenei italiani. Nei 100 anni dalla nascita, ricordare lo statista pugliese cercando di definire come ha adoperato l’intelligence nelle sue scelte istituzionali può avere un notevole rilievo, non solo per tentare di chiarire l’effettivo svolgimento delle vicende ma sopratutto sulle modalità di questo utilizzo.
Pertanto, procedere in questa direzione può significare approfondire un aspetto inedito e originale e, in un certo senso, necessario.
La vicenda umana di Moro si intreccia con la storia repubblicana e quindi con i temi della sicurezza, in un mondo che aveva come simbolo il muro di Berlino.
La guerra fredda è, per definizione, una “guerra di spie”, per cui l’intelligence assume una dimensione decisiva, non solo a livello pubblico ma anche privato. Basta guardare quel film emblematico che è “Le vite degli altri”.
Due sono gli interrogativi da approfondire: l’intelligence italiana era a sovranità limitata, dipendendo da quella degli alleati, principalmente quella americana e inglese? Le deviazioni dell’intelligence italiana rispondevano a lotte politiche interne o estere? Secondo la teoria del doppio Stato, questi due aspetti peraltro coinciderebbero.
La figura di Moro si incrocia con pagine che vedono direttamente e indirettamente la presenza dei Servizi e la politica della sicurezza, che è stata una costante nel mondo segnato dalla cortina di ferro, e ne gli anni del suo impegno politico in Italia succede di tutto, da tentativi di colpi di Stato al fenomeno del terrorismo politico.
Moro ha ricoperto ruoli fondamentali durante fasi decisive della storia del Paese, nelle quali l’intelligence sembra avere avuto un ruolo determinante:
Moro era segretario politico nazionale quando si verifica il punto più alto della guerra fredda con la crisi dei missili a Cuba e la costruzione del muro di Berlino da un lato e la politica di distensione dall’altro, con l’avvento sulla scena di Giovanni XXIII, Nikita Kruscev e John Fitzgerald Kennedy.
Era Presidente del Consiglio dei Ministri mentre si verifica il presunto “Piano Sol”, lo scandalo dei fascicoli del SIFAR e la conseguente nascita del SID, l’entrata ufficiale dell’Italia nella rete “Stay Behind”.
Nel 1969 era Ministro degli Esteri quando scoppia la bomba a Piazza Fontana e prende avvio la strategia della tensione. È in questo periodo che vengono poste le premesse del cosiddetto “Lodo Moro” che assicurava ai palestinesi la possibilità di trasportare armi nel nostro Paese in cambio di non ricevere attentati sul suolo nazionale. Ed è ancora alla Farnesina nel 1974 quando si verificano le stragi di Piazza della Loggia a Brescia e dell’Italicus.
Da Presidente della Democrazia Cristiana vive lo scandalo Lockheed, in cui viene pure chiamato in causa e in cui con un celebre discorso alla Camera difende la Democrazia Cristiana dicendo che “non ci faremo processare nelle Piazze”.
È questa pure l’epoca dell prima riforma dei Servizi segreti e dell’apertura al Partito Comunista Italiano nell’esperienza di governo, primo caso nell’Occidente.
Infine, nella fase del sequestro Moro entrano in gioco Servizi di tutto il mondo e lo stesso Moro chiede con una lettera dal carcere al colonnello Stefano Giovannone di adoperarsi per la sua liberazione e più volte nei verbali degli interrogatori delle BR fa riferimento ai Servizi e accenna anche a Gladio.
Di grande interesse, sotto lo specifico profilo dell’intelligence, è anche la ricostruzione del rapporto tra Aldo Moro e Francesco Cossiga.
In definitiva, secondo molti, allora, ma anche ora, mi riferisco a chi allora c’era e ricorda vicende specifiche, Aldo Moro veniva considerato un uomo di Stato e un “maestro” nell’uso dell’intelligence per la sicurezza delle Istituzioni repubblicane.
Appunto per questo, mi sembra un aspetto da evidenziare in occasione del suo anniversario, in un’epoca in cui c’è più che mai bisogno di chi, come Moro, aveva il senso dell’intelligenza degli avvenimenti.
Anche sotto questo profilo, l’intelligence si identifica sempre di più non solo con la dimensione mancante della storia ma anche con quella futura.