Cosa sono le cellule staminali? – Sono chiamate staminali tipi di cellule molto diverse fra loro. Il loro minimo comune denominatore sono due caratteristiche;:
la prima, sono in grado di moltiplicarsi quasi all’infinito. Le altre cellule dell’organismo, dopo che si sono divise un certo numero di volte, non sono più capaci di riprodursi;
la seconda caratteristica comune a tutte le staminali è che sono in grado di evolversi in tipi cellulari molto diversi fra loro, a differenza delle cellule mature come i neuroni o i globuli rossi, che hanno un aspetto definito e delle funzioni circoscritte in un ambito preciso.
Le staminali si dividono in:
Staminali totipotenti. Sono capaci di “creare” un organismo intero, generando cellule nervose, dei muscoli, delle ossa, del sangue e anche tessuti extraembrionali come la placenta. Le totipotenti si ottengono dalle primissime divisioni della cellula nata dall’unione di spermatozoo e cellula uovo. Infatti, se questo primo ammasso di cellule – l’origine dell’origine della vita – si divide in due parti, possono nascere due gemelli identici, detti in genetica “omozigoti”. Dopo pochi giorni di sviluppo, alla terza-quarta divisione quel grumo di cellule forma una morula, detta così perché sembra una piccola mora, costituita da circa sedici cellule. Nel passaggio alla fase-morula la “totipotenza” della cellula si perde: quello che si può ottenere sono solo cellule staminali embrionali, dette pluripotenti.
Staminali pluripotenti. A differenza delle totipotenti, possono evolversi in qualsiasi tipo di cellula tranne che quelle che formano i tessuti extraembrionali come la placenta. Dalle pluripotenti si possono generare cellule della pelle (tissutali), del sangue (ematopoietiche), dei muscoli e delle ossa. Una volta impiantate nell’utero, le pluripotenti si “specializzano” e diventano multipotenti.
Staminali multipotenti. Possono generare più tipi di cellule, ma all’interno di un range più ristretto. Le multipotenti si trovano fra le cellule più interne della morula, che formano l’embrioblasto (germe dell’embrione): questo darà vita all’embrione vero e proprio e poi al feto. A partire dall’ottavo giorno dal concepimento, l’embrioblasto assume l’aspetto di un disco nel quale si possono distinguere tre strati diversi di cellule, i cosiddetti “foglietti germinativi”. Si dividono in tre tipi:
L’endoderma che genera: intestino, sistema respiratorio, fegato e altri tessuti.
Il mesoderma che genera: cellule del sangue, vasi sanguigni, cuore e altri tessuti.
L’ectoderma che genera: sistema nervoso centrale, pelle.
Le cellule dei foglietti germinativi quindi non possono dar vita a tutti i tessuti di un organismo, ma possono differenziarsi solo all’interno di uno dei tre strati germinali che costituiscono la matrice embrionale di tutte le cellule del corpo.
Staminali unipotenti. Una volta che l’organismo ha completato la sua fase di sviluppo, rimangono solo cellule staminali unipotenti (o staminali adulte o staminali tessuto specifiche), dette così perché servono a rigenerare un singolo specifico componente dell’organismo. Gli epatociti, ad esempio, sono cellule unipotenti che contribuiscono a “rinnovare” il fegato, organo che finché è sano si rigenera. Così come la pelle, le unghie, i bulbi piliferi, il sangue. E in misura minore il cuore e il cervello.
Staminali mesenchimali. Le cellule staminali mesenchimali (contenute nello stroma del midollo) sono disposte in schiere attorno al seno centrale del midollo osseo. Sono cellule multipotenti che hanno la capacità di differenziarsi sia in vivo che in vitro in osteoblasti, condrociti, miociti, e molti altri tipi di cellule. Esse fungono anche da cellule “portinaie” del midollo osseo.
Nel “metodo Stamina”, però, le cellule mesenchimali, che potrebbero rigenerare solo ossa o cartilagini, sono usate per curare le malattie neurodegenerative.
Staminali pluripotenti indotte (Ips). Sono cellule adulte, “mature”, quindi multipotenti o più spesso unipotenti, indotte in laboratorio a ritornare allo stadio di pluripotenti. Le Ips sono state scoperte dal britannico John Gurdon e dal giapponese Shinya Yamanaka, che per questo hanno vinto il Premio Nobel nel 2012. Con le pluripotenti indotte si potrebbero eludere i problemi etici ottenendo cellule con le stesse potenzialità di quelle embrionali. Inoltre con le Ips, prelevate dallo stesso paziente che dovrà essere curato, non si corre il rischio di rigetto.
Che cos’è il metodo ”Stamina”? – Stando al suo stesso promotore, il “metodo” Stamina consiste nella somministrazione di cellule staminali mesenchimali per la cura di particolari patologie. La gamma di malattie che secondo Vannoni possono essere curate è molto ampia e ne comprende anche di tipo neurodegenerativo, proprio come la leucodistrofia metacromatica.
Vannoni dice di avere sviluppato il “metodo” dopo avere trattato con le cellule staminali una emiparesi facciale causata da una infezione virale nel 2004 in Russia. Successivamente invitò in Italia un ricercatore russo e uno di origini polacche, che lo aiutarono a sviluppare un sistema, che sarebbe poi diventato il “metodo”, fino a ora applicato su circa 80 pazienti. Tra le persone sottoposte a terapia ce ne sono state alcune affette da Parkinson, altre da Alzheimer e altre ancora da patologie che colpiscono il sistema nervoso e l’apparato muscolare.
Le cellule utilizzate da Vannoni sono ottenute attraverso espianti dal midollo osseo, ma come è stato spiegato di recente sulla rivista scientifica Nature, molti dettagli sul suo “metodo” continuano a essere ignoti. Alla scarsa trasparenza contribuisce anche l’assenza di pubblicazioni scientifiche che illustrino metodologie, protocolli e risultati ottenuti attraverso la somministrazione delle staminali. Vannoni dice di utilizzare cinque diversi tipi di cellule nel proprio “cocktail”, le cui quantità sono calibrate a seconda dei risultati che si vogliono ottenere, dalla rigenerazione di tessuti danneggiati a soluzioni – anche in questo caso alquanto misteriose – per ridurre le infiammazioni attraverso somministrazione cellulare.
Chi c’è dietro il “metodo Stamina”? – Quando parliamo di “metodo Stamina” intendiamo quello portato avanti dalla Stamina Foundation – quartier generale a Torino – di Davide Vannoni e Marino Andolina. Vannoni è torinese e ha 46 anni, Professore di Psicologia ad Udine, è un cognitivista appassionato di neuroscienze. Andolina ha 67 anni, Immunologo-pediatra, dirige il reparto trapianti dell’ospedale Burlo-Garofolo di Trieste, è stato il primo italiano, nel 1984, a eseguire trapianti di midollo.
Quanti sono i malati curati col “metodo Stamina”? – La Stamina Foundation è attiva dal 2009 e ha curato 65 pazienti. Ma Vannoni e Andolina sostengono di aver ricevuto più di 10 mila richieste. Alcuni depliant, ora acquisiti dalla Procura di Torino, che indaga sul “metodo Stamina”, parlavano di oltre mille casi trattati, con percentuali di recupero dal 70 al 100%. All’ospedale di Trieste “Burlo Garofolo”, dove fino al 2011 ha lavorato Andolina, è stata condotta una ricerca su cinque bambini curati con le staminali mesenchimali, pubblicata poi nel dicembre 2012 sulla rivista scientifica Neuromuscolar Disorders: i bimbi, dai 3 ai 20 mesi, non hanno avuto effetti positivi dalla cura. Due su cinque sono morti.
In cosa consiste e quanto costa una cura col “metodo Stamina” -Un trattamento, che consiste in un prelievo di cellule staminali dal midollo del paziente, la moltiplicazione delle stesse in laboratorio e la somministrazione, 15-20 giorni dopo il prelievo, delle staminali moltiplicate in tre sedute, con altrettante punture lombari. Calcolando che un trattamento costa dai 20 ai 30 mila euro e una singola puntura 7 mila, si spendono dai 41 ai 51 mila euro. Queste sono le informazioni raccolte da Adriana Bazzi del Corriere della Sera.
Marino Andolina racconta come funziona il “metodo Stamina”. Intervistato da Ruggiero Corcella del Corriere della Sera, Andolina ha spiegato:
“Ci sono una serie di punti. Il prelievo non è di midollo liquido, molto più ricco di cellule emopoietiche, ma una “carota” ossea, cioè una biopsia: quindi è stroma. I tempi di coltura: più brevi, 15-20 giorni, per evitare anche il teorico, modestissimo, rischio che le cellule si avvicinino alla maturazione in cartilagine-osso, che è la cosa che sanno fare meglio. La composizione del terreno di coltura viene adeguata in funzione di come si formano le colonie di cellule. Le cellule vengono “staccate” e congelate in vapori di azoto liquido. Altro punto importante è la differenziazione verso la linea neurale, dopo lo scongelamento delle cellule: una differenziazione brevissima, grazie alla quale iniettiamo cellule che hanno caratteristiche sia neurologiche che ancora staminali. Noi manteniamo la “staminalità” in cellule che sono indirizzate verso linee neurali, perché così passano la barriera ematoencefalica, mentre le cellule mature non passano. Vengono effettuate due infusioni a ciclo, una per via endovenosa di cellule staminali mesenchimali e la seconda per via intrarachide con cellule staminali differenziate in senso neuronale. Il trattamento prevede 5 cicli, a distanza di almeno 30 giorni uno dall’altro a seconda dello stato immunologico del paziente. E, infine, il know-how importante non è quello scritto, ma l’esperienza della persona che prepara le cellule”.
Quali malattie sono state curate (o meglio tentate di curare) col “metodo Stamina”? – Atrofia muscolare spinale o Sma, Sindrome di Niemann-Pick, Leucodistrofia metacromatica, Morbo di Krabbe, Paralisi cerebrale da asfissia al momento della nascita. Sono tutte malattie dei bambini e neurodegenerative. Ma negli atti dell’inchiesta della procura di Torino (vedi paragrafo sotto), si afferma che la cura è stata proposta anche a malati di Parkinson, Sla, sclerosi multipla, pazienti con lesioni spinali, ictus, tumori.
Il “metodo” Stamina funziona? – È la domanda delle domande e non è facile dare una risposta definitiva. I dubbi principali legati al sistema della fondazione di Vannoni sono dati dal fatto che, per realizzarlo, non sono state seguite le procedure classiche di ricerca e test clinici tipici nello studio e nello sviluppo di nuove terapie sanitarie. I promotori del “metodo” non hanno pubblicato a oggi lavori di ricerca chiari, che descrivano i modi in cui sono ottenute le staminali per le terapie e i protocolli seguiti.
L’unica pubblicazione scientifica esistente in merito è stata realizzata da un gruppo di ricercatori dell’Istituto per l’infanzia ed ospedale specializzato pediatrico regionale “Burlo Garofolo” di Trieste. Lo studio è stato realizzato su cinque bambini affetti da atrofia muscolare spinale (SMA) di tipo 1, cui sono state somministrate cellule staminali per valutare la loro reazione ed eventuali miglioramenti. I ricercatori hanno concluso che il trattamento non ha portato ad “alcun cambiamento nel decorso della malattia”. La ricerca è stata contestata da Vannoni, secondo cui i medici non hanno utilizzato il mix di cellule corretto per le terapie. Vannoni sostiene, inoltre, di avere fornito tutta la documentazione necessaria alle autorità sanitarie, quando furono eseguite le ispezioni a Brescia, ma che parte di quei documenti non sono mai stati presi in considerazione.
Perché “non provarci”, visto che non esistono altre cure? – Perché i trapianti di cellule staminali sono una procedura particolarmente delicata che richiede, oltre ad una elevata specializzazione, una serie di norme di sicurezza e tecniche che, dall’ispezione dei locali bresciani, non esisteva. Per fare un paragone solo a titolo esemplificativo, sarebbe come eseguire una trasfusione di sangue utilizzando sacche di cui non si conosce bene la composizione, che nei controlli hanno mostrato presenza di sostanze estranee e infuse in un locale sporco. Tutto questo per ottenere un beneficio mai dimostrato e mai ottenuto da nessuno in un soggetto per forza di cose più a rischio di complicazioni. Il possibile danno quindi, è fortemente superiore al riferito (e mai dimostrato) beneficio.
Ma allora come mai i genitori di alcuni dei piccoli sottoposti alla cura parlano di “miglioramenti”? – Escludendo per buon senso un effetto placebo o di “esagerazione” delle normali fasi di una malattia neurodegenerativa, fino ad oggi i trapianti con cellule staminali hanno mostrato, in alcuni casi e per certe malattie, un transitorio (e breve) effetto “antiinfiammatorio” e di miglioramento di alcuni disturbi. Nessuno dei test clinici effettuati fino ad oggi nel mondo ha mai guarito o cambiato il decorso di una delle gravi malattie che Vannoni riferisce di poter curare. In alcuni casi sono le terapie di supporto che mantengono per più tempo uno stato di salute accettabile relativamente alla gravità delle condizioni generali. Se il prof. Vannoni ha notato miglioramenti “non abituali” nei casi che ha trattato, perché non li ha illustrati in maniera corretta alla comunità scientifica? Perché Vannoni parla di “possibilità di guarigione” se per il mondo scientifico questa possibilità non esiste e nessuno l’ha mai notata? Ne è convinto? Perché non lo dimostra?
Conclusioni – Fino a quel momento è opportuno che prevalga il principio di precauzione e che non si proceda in maniera improvvisata, lontana dal metodo scientifico, specialmente se ciò può comportare rischi per i pazienti. A oggi, infatti, non è nemmeno chiaro quale sia la portata dei benefici di una simile terapia rispetto ai potenziali danni che potrebbe causare. La legge sulle “terapie compassionevoli” non equivale a un “proviamo anche questa, visto che non ci sono cure”: prevede rigidi controlli e garanzie irrinunciabili per la tutela del paziente.
In casi come quello Stamina, o in passato la vicenda Di Bella, le autorità sanitarie si trovano spesso a doversi confrontare con parte dell’opinione pubblica, che in buona fede e con una certa dose di emotività ripone grandi speranze in terapie che si vendono come miracolose, anche se in assenza di prove certe sulla loro efficacia. Entro certi limiti, la libertà di scelta della cura deve essere tutelata, ma le istituzioni hanno anche il dovere di proteggere e informare i propri cittadini su terapie non verificate e potenzialmente pericolose per la salute.
Come ha ricordato sul Corriere il direttore del Laboratorio cellule staminali della Sapienza di Roma, Paolo Bianco, questo principio vale fortemente in un paese come l’Italia dove l’assistenza sanitaria è pubblica e viene pagata da tutti i contribuenti: «L’onere economico derivante dall’uso in decine di migliaia di pazienti di terapie inefficaci e mai sottoposte a sperimentazione ricadrebbe sul Servizio sanitario nazionale e dunque sui cittadini». Infine, è bene ricordare che intorno al caso Stamina, come in molti altri casi simili in giro per il mondo complice anche la mancanza di leggi adeguate, circolano grandi interessi commerciali legati alle sponsorizzazioni, alle approvazioni dei brevetti e alla loro vendita.
A oggi non è scientificamente provato che il “metodo” Stamina funzioni, né che sia completamente sicuro per la salute dei pazienti, problema che del resto hanno molte altre terapie basate sulle cellule staminali ancora in fase di test clinici. È opinione comune tra i ricercatori che l’utilizzo delle staminali possa portare a grandi opportunità per realizzare nuove terapie più efficaci e meno invasive rispetto ad alcuni farmaci oggi in commercio, ma saranno necessari ancora anni di ricerche in laboratorio e test clinici prima di arrivare a protocolli efficaci, certificati e riconosciuti
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